Se la vita fosse uno sketch comico, Marco Vecchiato sarebbe sicuramente la battuta finale, quando scoppiano gli applausi e le risate a cascata. Lui, che il sorriso ce l’ha sempre stampato sul viso (ve lo possiamo assicurare anche se non lo avete mai visto), e ve lo appiccica addosso come una buona abitudine.
Riusciamo a trovarlo on line dalla sua casa a Newburgh, nello stato di New York, dopo le vacanze natalizie in patria, un po’ nostalgico ma sempre allegro.
Vogliamo sapere.
Da quanto vivi a Newburgh?
Ad Aprile sarà un anno.
Cosa fai nella vita americana?
Mi sono trasferito per lavoro, per una ditta italiana che ha acquistato un’azienda statunitense. Gli serviva un intrepido giovane italiano che mollasse tutto e si trasferisse qui per fare da connessione tra le due parti. Ed eccomi qui! Tecnicamente mi qualificano come Product Manager.
Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a partire?
Per prima cosa, sono un americanofilo fin da prima di trasferirmi. Ero già stato in vacanza svariate volte a New York e in Florida, amo moltissimo gli sport americani. In più volevo fare un'esperienza all’estero, a trent’anni mi sentivo pronto per fare un salto nel buio. Sono single e tutti i miei amici o sono fidanzatissimi o sposatissimi, c'è chi ha già figli. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua: volevo cambiare aria e dare una svolta sia alla mia vita privata che a quella lavorativa. Col senno di poi, visto il periodo di crisi in Italia, sono stato molto fortunato.
Quali sono le ragioni che ti fanno restare?
Uhm. Per prima cosa NON vivo a NY, ma bensì in una città a un’ora e mezza dalla City. Voglio dire, nella vera America, quella che il 90% delle persone non ha visto. Tutti pensano che gli Stati Uniti siano la Grande Mela o altre importanti metropoli americane; invece vi assicuro che non è così. Comunque, tornando al punto, adesso come adesso resto solo per lavoro, arricchire il mio CV e migliorare l’inglese (e spagnolo, dato che i miei operai sono tutti ispanici). Ah! E per le partite di basket!
Quanto c'è di italiano negli americani?
Di immigrati di seconda e terza generazione ce ne sono a milioni. Ti dico solo che qui ci sono città che si chiamano Asti, Siena, Verona. Il problema è che si son americanizzati troppo e hanno perso alcune tradizioni e le hanno modificate. Esempio lampante il cibo: anche gli italo-americani mangiano piatti italiani “americano-modificati”. Si trovano ancora persone che parlano italiano, anzi, dialetto, specialmente quelli di una certa età, come il mio barbiere.
Che cosa di americano porteresti in Italia?
Sicuramente il modo di lavorare: è meritocratico, se vali ti tengono e ti pagano bene e l'aumento te lo concedono anche senza chiederlo. Al contrario, se non vali, sei fuori. Poi c'è molta settorialità, nel senso che, se sei pagato per fare un certo tipo di lavoro, fai quello e non devi risolvere problematiche di altri ambiti aziendali, anche se chi ne è responsabile non se ne occupa.
Altro tema importante è la politica delle importazioni. Ti faccio un esempio: vuoi un capo d'abbigliamento e vuoi spendere poco? Allora prendi brand americani. Altrimenti, se vuoi un brand estero, lo paghi molto di più a causa dell’elevata tassazione delle merci in entrata nel paese. In Italia, purtroppo, è il contrario.
Qual è stato il momento in cui hai capito di aver preso la decisione giusta a partire?
Quando è cominciata la crisi economica in Europa e in Italia. Fino ad allora pensavo di avere fatto quella sbagliata.
Quali sono i momenti, se ce ne sono, in cui ti senti orgoglioso di essere italiano?
Sono orgoglioso di essere italiano, quasi sempre. Parlo spesso del mio paese e delle tradizioni italiane, ne vado fiero. Lo sono un po’ meno quando gli americani mi chiedono come può uno come Berlusconi aver fatto il capo del governo per così tanto tempo e ultimamente, dopo la vicenda del Costa Concordia e del Capitano Schettino, non ti dico le prese per il culo, sia direttamente a me che per i media in TV. Da vergognarsi quella telefonata famosa.
Parla alle nuove generazioni, dai loro un consiglio.
Dai! Non sono poi così vecchio! Io vi dico che una esperienza all'estero non fa mai male. Adesso frequento un corso di americano all'Università e in classe ho persone da tutte le parti del mondo. Ogni giorno si impara qualcosa che sarà utile nella vita, ve lo assicuro.
Tramonto newyorkese e tramonto italiano. Quale vince?
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