mercoledì 22 febbraio 2012

Partenze: Lo zio d'America


Se la vita fosse uno sketch comico, Marco Vecchiato sarebbe sicuramente la battuta finale, quando scoppiano gli applausi e le risate a cascata. Lui, che il sorriso ce l’ha sempre stampato sul viso (ve lo possiamo assicurare anche se non lo avete mai visto), e ve lo appiccica addosso come una buona abitudine.
Riusciamo a trovarlo on line dalla sua casa a Newburgh, nello stato di New York, dopo le vacanze natalizie in patria, un po’ nostalgico ma sempre allegro.
Vogliamo sapere.



Da quanto vivi a Newburgh?
Ad Aprile sarà un anno.
Cosa fai nella vita americana?
Mi sono trasferito per lavoro,  per una ditta italiana che ha acquistato un’azienda statunitense. Gli serviva un intrepido giovane italiano che mollasse tutto e si trasferisse qui per fare da connessione tra le due parti. Ed eccomi qui! Tecnicamente mi qualificano come Product Manager.

Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a partire?
Per prima cosa, sono un americanofilo fin da prima di trasferirmi. Ero già stato in vacanza svariate volte a New York e in Florida, amo moltissimo gli sport americani. In più volevo fare un'esperienza all’estero, a trent’anni mi sentivo pronto per fare un salto nel buio. Sono single e tutti i miei amici o sono fidanzatissimi o sposatissimi, c'è chi ha già figli. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua: volevo cambiare aria e dare una svolta sia alla mia vita privata che a quella lavorativa. Col senno di poi, visto il periodo di crisi in Italia, sono stato molto fortunato.

Quali sono le ragioni che ti fanno restare?
Uhm. Per prima cosa NON vivo a NY, ma bensì in una città a un’ora e mezza dalla City. Voglio dire, nella vera America, quella che il 90% delle persone non ha visto. Tutti pensano che gli Stati Uniti siano la Grande Mela o altre importanti metropoli americane; invece vi assicuro che non è così. Comunque, tornando al punto, adesso come adesso resto solo per lavoro, arricchire il mio CV e migliorare l’inglese (e spagnolo, dato che i miei operai sono tutti ispanici). Ah! E per le partite di basket!

Quanto c'è di italiano negli americani?
Di immigrati di seconda e terza generazione ce ne sono a milioni. Ti dico solo che qui ci sono città che si chiamano Asti, Siena, Verona. Il problema è che si son americanizzati troppo e hanno perso alcune tradizioni e le hanno modificate. Esempio lampante il cibo: anche gli italo-americani mangiano piatti italiani “americano-modificati”. Si trovano ancora persone che parlano italiano, anzi, dialetto, specialmente quelli di una certa età, come il mio barbiere.

Che cosa di americano porteresti in Italia?
Sicuramente il modo di lavorare: è meritocratico, se vali ti tengono e ti pagano bene e l'aumento te lo concedono anche senza chiederlo. Al contrario, se non vali, sei fuori. Poi c'è molta settorialità, nel senso che, se sei pagato per fare un certo tipo di lavoro, fai quello e non devi risolvere problematiche di altri ambiti aziendali, anche se chi ne è responsabile non se ne occupa.
Altro tema importante è la politica delle importazioni. Ti faccio un esempio: vuoi un capo d'abbigliamento e vuoi spendere poco? Allora prendi brand americani. Altrimenti, se vuoi un brand estero, lo paghi molto di più a causa dell’elevata tassazione delle merci in entrata nel paese. In Italia, purtroppo, è il contrario.

Qual è stato il momento in cui hai capito di aver preso la decisione giusta a partire?
Quando è cominciata la crisi economica in Europa e in Italia. Fino ad allora pensavo di avere fatto quella sbagliata.

Quali sono i momenti, se ce ne sono, in cui ti senti orgoglioso di essere italiano?
Sono orgoglioso di essere italiano, quasi sempre. Parlo spesso del mio paese e delle tradizioni italiane, ne vado fiero. Lo sono un po’ meno quando gli americani mi chiedono come può uno come Berlusconi aver fatto il capo del governo per così tanto tempo e ultimamente, dopo la vicenda del Costa Concordia e del Capitano Schettino, non ti dico le prese per il culo, sia direttamente a me che  per i media in TV. Da vergognarsi quella telefonata famosa.

Parla alle nuove generazioni, dai loro un consiglio.
Dai! Non sono poi così vecchio! Io vi dico che una esperienza all'estero non fa mai male. Adesso frequento un corso di americano all'Università e in classe ho persone da tutte le parti del mondo. Ogni giorno si impara qualcosa che sarà utile nella vita, ve lo assicuro.

Tramonto newyorkese e tramonto italiano. Quale vince?
Uhm… Forse tramonto Newyorkese, con accanto una bella ragazza italiana.





venerdì 10 febbraio 2012

Partenze

Anche il cucchiaino passeggia assorto nella tazza di caffè bollente. Lo stesso caffè condiviso con un vecchio amico, nella mattina di un sabato veloce e distratto. “Ma tu vuoi partire o scappare?”, mi chiede subito dopo avermi ascoltato bene.
E da alcuni giorni mi lascio accompagnare da questa domanda, sperando che la risposta arrivi come Natale dopo Ferragosto. Ti distrai un attimo e hai già palle ovunque.
Chissà se questo mio dubbio verrà risolto con la serie di interviste che pubblicheremo a partire da stasera.
Abbiamo chiesto alla meglio gioventù espatriata di dire la loro sulla vita, la crisi, l’economia, la gente, il mondo, l’Italia. Per rubare loro quella saggezza straniera, segreta e a volte troppo distante, e farne roba nostra.
Inizieremo con Gabriele, partito, e non scappato, più di 2 anni fa per l'Australia a caccia di canguri (anche se lui nega!).
Ringraziamo fin d’ora tutti i ragazzi che hanno partecipato e parteciperanno a questa iniziativa.
Buona lettura.

FameChimica


Da quanto tempo vivi in Australia?
Vivo in Australia da più di due anni. Ho vissuto un anno e mezzo a Sydney-Bondi Beach, tre mesi a Griffith-Regional NSW ed ora, da poco più di 3 mesi, vivo in maniera stabile (finalmente aggiungo) a Canberra, la capitale.
Sei partito per inseguire i canguri o per cercare la terra promessa?
Sono molti i motivi per cui sono partito, per tutta una serie di vicende, fatti non avvenuti, situazioni, reazioni a catena. Diciamo solo che da un paio di mesi andavo chiedendomi il perchè di tante, troppe cose: a Treviso avevo molto, ma non abbastanza, e quando inizi a realizzare che a 24 anni ti stai accontentando e non sei felice, è proprio il momento di prendere in mano la situazione e provare, metterti in gioco, mordere la vita e succhiarne il midollo. Ed io ho deciso di farlo, a modo mio ovviamente. Non siamo tutti uguali.
Cosa fai quando non insegui i canguri (la ragione reale per cui sei partito)?
Partiamo dal presupposto che non inseguo i canguri  perchè semplicemente qui ce ne sono troppi! Diciamo che dall'alba al tramonto mi dedico al mio lavoro, quasi ogni giorno, per scelta ovviamente. Mi piace, ho voglia di guadagnare soldi, fiducia, ho voglia di dimostrare, soprattutto a me stesso, che riesco a spingermi al di là dei limiti fisici e mentali, che solitamente mi aspetto di avere. Tanto per chiarezza, ti dirò che lavoro in un parco vacanze con oltre 100 alloggi, gestisco le manutenzioni e sto collaborando all'ampliamento di tale parco con altre 100 unità, mi prendo cura dei rimanenti 600 acri di terreno-principalmente bosco e cava di roccia, ed altri business per conto del mio Boss. Quindi, capirai che non mi resta molto tempo libero. Ma mi va bene così, mi sono dato alla pazza gioia a Sydney per un bel po', ora voglio dedicarmi a qualcosa di costruttivo.
Gli australiani sono da invidiare perchè...
Perchè sono dei maledetti ''bludgers'', come si dice in slang. Sono fannulloni, ma questo è effettivamente un bene per chi ha voglia di lavorare, la concorrenza è zero. A parte questa parentesi pseudosarcastica, devo riconoscere che sono generalmente molto disponibili e non portano assolutamente rancore, almeno per chi vive in campagna. In città, personalmente, credo siano troppo europeizzati, di conseguenza più… ehm… stronzi. Perdona la franchezza ma è così.
Ad ogni modo sono grandi perchè non sanno cos'è lo stress. Qui per loro non esiste, il loro motto è ''no worries'', e non si preoccupano di nulla. Da un lato mi fanno perdere la pazienza, ma dall'altro li invidio un po'. Perchè io, da buon trevigiano, sono in ritardo anche quando sono in anticipo, non ho pazienza nè tanto meno tempo da perdere.
Cosa ti manca del tuo paese?
In molti direbbero il cibo però, al giorno d'oggi, se sai come muoverti riesci a trovare praticamente qualsiasi prodotto da ogni parte del modo. Quindi ciò che mi manca davvero è l'acqua di fontana. E gli odori di casa mia e della campagna trevigiana e veneta in generale. E poi, ovviamente, la storia che si respira in ogni dove lassù dove sono le mie radici.
Cosa dell'Australia porteresti in Italia?
Sicuramente la giustizia e la Royal Commission, ed in generale il rispetto delle regole. Chi sgarra e viene beccato PAGA con galera, multe, ecc. Non come in Italia che paghi per non venir beccato, o ti beccano e paghi con mazzette e così via. Ovvio che il marcio c'è anche qui, ma è proprio minimo. Come la criminalità: in un anno e mezzo a Sydney non ho mai chiuso a chiave la porta di casa.
Quale sensazione provi quando torni a casa? E' difficile poi ripartire?
Sicuramente  è difficile, ho lasciato un padre che mi ha dato praticamente tutto ciò che poteva,  insegnandomi i valori che io un giorno sperò riuscirò a tramandare a mia volta, una nonna che mi regala sempre il più bel sorriso del mondo, una sorella ed un cognato che amo e che l'anno scorso mi hanno fatto diventare zio di un bellissimo bambino. In più zii e cugini che ogni volta sperano che non riparta più. Però il mio posto è qui, lo so, lo sento. Devo pesare a me e, a Dio piacendo, al futuro della famiglia che un giorno formerò. Sono più che convinto che la mia scelta sia stata la più giusta per me, e magari, un giorno, riuscirò a far godere anche i miei cari dei miei sacrifici, poichè, ci tengo a sottolinearlo, stare all'estero da soli non è facile. Se poi si cerca di emigrare, ad esempio in Australia, la strada si fa sempre più tortuosa. Anche se la maggior parte della gente a Treviso pensa che io sia in ferie. Seeeeee...
Dimmi 3 motivi per cui un ragazzo oggi dovrebbe prender la valigia e partire.
Te ne dirò solo uno. Ovunque vada, qualunque cosa faccia, che ritorni a casa o meno. Per CRESCERE.